Intervista di SpeSalvi.it® a Don Elio Benedetto: “Il tour musicale in India ha permesso che si realizzasse uno dei più grandi sogni della mia vita”.

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Intervista di SpeSalvi.it® a Don Elio Benedetto:

“Il tour musicale in India ha permesso che

si realizzasse uno dei più grandi sogni della mia vita”.

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Don Elio, sei reduce dal tour musicale che ti ha visto protagonista in India dal 29 giugno al 18 luglio (2014); raccontaci anzitutto come è nata questa idea, poi le emozioni, le sensazioni provate e cosa ha significato per te questo “viaggio” sulle orme di Madre Teresa.

Credo fortemente che il Signore abbia saputo preparare il tutto già da diverso tempo. Infatti, il desiderio innato di conoscere e confrontarmi con culture diverse, mi ha portato, prima ad accogliere sacerdoti provenienti dall’India (da più di quindici anni, chiosa Don Elio, ndr), poi ad amare sempre più la Beata Teresa di Calcutta. Diciamo inoltre che, tale desiderio, è cresciuto esponenzialmente durante i “lavori” al mio primo album: “Cammino semplice”, ispirato e dedicato proprio a Madre Teresa. Sono queste allora, le circostanze – o meglio, quelli che preferisco definire gli interventi della provvidenza divina – che hanno fatto sì che giungesse l’invito a partire.  L’opportunità offertami dalle Suore Missionarie della Carità, nella persona della madre generale Sr. Prema, ha permesso che si realizzasse uno dei più grandi sogni della mia vita: anzitutto pregare e poi cantare presso la tomba di Madre Teresa a Calcutta. Una sensazione meravigliosa, emozioni uniche e irripetibili che, francamente, in Italia difficilmente avrebbero trovato seguito, soprattutto per la poca sensibilità a iniziative di questo genere. Un sentito e commosso grazie va rivolto in primo luogo ai parrocchiani di S. Maria La Nova in Palata, comunità in cui svolgo da anni il mio ministero sacerdotale; è proprio grazie alla loro solidarietà e sensibilità che ho potuto far giungere ai fratelli indiani anche sostegno di tipo economico e materiale. Un grazie particolare va rivolto anche a Sr. Prema. La sua delicatezza, infatti, ha fatto sì che io potessi godere di tale grande privilegio; nonostante mi piace pensare che sia stata proprio Madre Teresa, dal cielo, a ispirare alle suore il volermi in India.

Se dovessi tracciare un bilancio – da un punto di vista strettamente “professionale” – di questa “avventura” musicale, quali sarebbero le tue considerazioni?

Posso affermare con un certo margine di sicurezza che, tutti i concerti messi in programma, hanno riscosso grande successo di pubblico. La richiesta di esibizioni, infatti, è stata oltre le aspettative: ben otto concerti in soli nove giorni; quasi un record considerato che questi sono stati organizzati in diversi stati indiani. Nonostante il dover cantare in lingua italiana (vi era infatti solo una semplice traduzione curata da P. Kiran della Congregazione dei Pallottini) e l’utilizzo di mezzi di amplificazione piuttosto dozzinali e posticci, è stato comunque bello – grazie all’aiuto di Dio – riuscire a coinvolgere i presenti, aiutandoli a pregare cantando e a trovare sprazzi di serenità spesso desueti. Il loro entusiasmo e la loro gioia, a prescindere dagli apparenti ostacoli, mi hanno permesso di sperimentare come la musica sia un potente mezzo di comunicazione, capace di fare da ponte tra culture e risvegliare emozioni spesso sopite.

 

Quale considerazione, invece, sui luoghi, gli stati o le città visitate?

Ho potuto anzitutto prendere coscienza del fatto che in India molta gente soffre. A tal proposito e senza alcun dubbio, su tutto mi hanno profondamente colpito le condizioni precarie della città di Calcutta: questa mi è sembrata la più povera, circondata da un enorme quantità di rifiuti e sporcizia. Il profondo stato di abbandono sociale, le strade pullulanti di “essere umani” considerati alla stregua di rifiuti, costituiscono ancora oggi una vera e propria piaga sociale. Nonostante il lavoro indefesso condotto da anni dalle suore che, senza remore di sorta, letteralmente raccolgono dalla strada i più derelitti, non ancora si intravede all’orizzonte una soluzione duratura. Più volte mi sono fermato a riflettere, interrogandomi anche – in virtù delle attuali condizioni – su quali potessero essere state le difficoltà incontrate dalla ”beata madre”, quando, nel 1948, si accingeva a dar vita al suo apostolato di carità. Certamente, seppur ispirata dallo Spirito Santo, sarà stata assistita da un coraggio ai limiti dell’eroicità; la memoria della sua capacità di pulire, lavare, baciare lebbrosi ed emarginati, ne è ancora testimone.

Se dovessi identificare, in uno dei tuoi concerti, la chiave di volta di tale esperienza, quale indicheresti?

Anche qui c’è poco margine di incertezza. Molto toccante è stato il concerto tenuto presso la “casa” di Calcutta ospitante uomini e donne abbandonati nonché malati gravi. Insieme al concerto ci è stata data la possibilità di far visita ai diversi padiglioni di accoglienza; è lì che si è fatta ancora più viva la concretezza del servizio, manifestata dall’enorme pazienza, dallo smisurato amore e dal sacrificio costante delle Suore Missionarie della Carità. L’assiduo contatto con la povertà materiale e spirituale di tali uomini e donne, rende meno profondi certi squarci di ingiustizia.

A tuo avviso, qual è stata la percezione di una figura come la tua – sei sempre un sacerdote prima che cantautore – che questa gente ha avuto nei tuo riguardi?

Dici bene, sono prima di ogni cosa un sacerdote; anche se…un sacerdote che canta. A tal proposito, la sensazione di infinito rispetto degli indiani verso i consacrati nonché i preti è stata straordinaria. Ricordo infatti, con tanta ammirazione, quella che costituisce l’emblema di una costante crescita vocazionale: i numerosi giovani seminaristi dei due seminari appartenenti alla congregazione Pallottina. Essi sono testimonianza pura di questa manifesta dedizione al Signore e a una scelta di vita donata attraverso il sacerdozio. È stato bello infine, incontrare giovani dallo sguardo pulito, dal grande desiderio di appartenere a Dio e armati di un sorriso dalla larghezza simile all’orizzonte allo spuntare dell’alba.

 

 

Cosa puoi dirci in merito al decoro o allo stile di vita condotto, sia da un punto di vista religioso sia da una prospettiva più laica-civile?

Per ciò che concerne lo stile di vita prettamente laico-civile, come tu ben l’hai identificato, ho notato come le donne, finanche quelle più povere, sono consuete nell’indossare la veste indiana per eccellenza: il sari. Questo indumento appare sempre pulito, decoroso e portato con sobria eleganza, nonostante le condizioni igieniche siano inversamente proporzionali agli standard occidentali. Sono rimasto anche favorevolmente sorpreso, sia nel visitare le scuole sia camminando per le vie delle città, di incontrare studenti molto disciplinati e ordinati: persino la divisa scolastica accentuava un certo clima di serietà. Più in generale, la mia attenzione è stata catturata dalla delicatezza espressa nel curare l’altro e la sua dignità. Ad esempio: essi entrano nella camera degli altri togliendosi le scarpe; se due persone stanno parlando tra loro, questi non vengono neppure salutati o disturbati per il timore di interrompere la loro conversazione; sono restii all’uso di baci e abbracci, preferiscono un semplice inchino a mani giunte o sul petto. Lo sguardo delle donne, è sempre intriso di morbidezza e rispetto, soprattutto verso gli uomini: non permettono mai, a loro stesse, di avere atteggiamenti confidenziali davanti ad altri, neppure quando questi siano sposati.

Da un punto di vista prettamente religioso, oltre a quello già detto in precedenza circa il rispetto verso i sacerdoti e i consacrati, ho potuto constatare come in chiesa – soprattutto durante la S. Messa – ognuno ha lo sguardo rivolto verso Dio o verso la propria intimità. Tutti si dedicano al canto con grande partecipazione e raccoglimento e mai ho visto qualcuno distrarsi o parlare con il vicino di banco, come troppo spesso succede da noi (Don Elio sorride amareggiato, ndr). Sanno mostrare rispetto verso Dio anche nel semplice atto del togliersi le scarpe prima di entrare in Chiesa; il senso del sacro dunque, è connaturale e ben radicato nelle fattezze della vita più quotidiana. Nelle diverse città si nota anche una pacifica coesistenza tra cristiani, indù e musulmani: nessuno cerca il proselitismo, anche perché il governo – a seguito di incresciosi scontri del passato –  ha vietato qualunque tipo di conversione “forzata” (qualche problema tuttavia, sussiste ancora solo nei piccoli villaggi). Nella casa dei Pallottini a Trivandrum ho potuto assistere anche a un raduno di musulmani ospitati dai cattolici; insomma, la coabitazione è serena, persino il mio amico P. Thomi, ha fondato, a Kollam, una Accademia musicale frequentata da ragazzi di tutte le religioni. L’India costituisce un grande esempio di convivenza religiosa, ogni giorno di festa o sacro al culto è celebrato con la stessa attenzione e rispetto.

 

 

Adesso Don Elio, ti chiedo di tracciare un bilancio più generale di questo tuo viaggio in India?

Visitando l’India, così come qualunque altra parte del mondo, sono certo che, in un modo o nell’altro, si possa imparare a non giudicare gli altri, i loro costumi o le loro idee. È evidente, infatti, come ciò che per noi è considerato un male o insolito, per altri popoli può essere fonte di bene e di quotidianità. Il popolo indiano, ad esempio, si mostra molto calmo in tutto ciò che fa, anche il loro “sensus fideinon prescinde mai dai disegni della provvidenza, facendo in modo che non si sviluppino frenesie già ben note dalle nostre parti. Posso affermare di aver ricevuto tanti insegnamenti e, talvolta, lezioni di vita. In particolare ricordo Amaravathi e la sua gente costretta a vivere in capanne di estrema povertà. Ricordo ancora come questi fratelli, malgrado l’indecorosa situazione, prima della S. Messa si sono protesi in una magnifica e calorosa accoglienza, offrendo bibite e fiori e come, al suo termine (e al termine del concerto), abbiano persino offerto una cena a noi sacerdoti e agli ospiti convenuti. Costoro si preoccupavano, anche durane le S. Messe cosiddette “feriali”, di offrire denaro e sostegno vario alla propria comunità, non disdegnando di chiedere aiuto persino a me, al fine di contribuire alla costruzione della nuova chiesa. Che grande amore per la Chiesa (esclama con forza Don Elio, ndr)!

Intervista a cura di:

Giuseppe Gravante, SpeSalvi.it®